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Alicante, la leggenda dietro un nome

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Alicante, la leggenda dietro un nome

Abitata sin dai tempi antichi dagli Iberi, dai Fenici provenienti da Tiro, e dai Greci di Focea, Alicante assurse allo storico ruolo di Porto Commerciale del Mediterraneo, solo con la conquista romana del 201 a.C.

Questo nuovo status fece sì che le popolazioni arabe e cristiane, che arrivarono nei secoli successivi, lasciassero in Alicante importanti testimonianze del loro passaggio, giunte sino a noi. Oggi, infatti Alicante è considerata dalle migliaia di turisti che la visitano ogni anno, il punto di partenza per partire alla scoperta della Costa Brava.

Costruita ai piedi di una montagna, Alicante, secondo la leggenda, deve il suo nome ad un romantico incantesimo.

Si racconta che attorno all’anno 1000 d.C. viveva nella città una bellissima principessa di nome Cántara, figlia maggiore del Califfo. La bellezza ed il carattere gentile e buono della principessa avevano valicato i confini della città, per giungere fino a territori lontani. Molti furono i pretendenti che giunsero da ogni parte del mondo conosciuto, per chiedere la mano della bella Cántara, ma solo in due ottennero il beneplacito reale: Almanzor, generale del Califfo di Cordoba Hisham II, già conquistatore di Barcellona, Zamora e Santiago, ed un giovane del luogo di nome Alì, conosciuto in città soprattutto per il suo carattere buono, la sua gentilezza e la sua bellezza.  Il Califfo non sapeva decidere quale tra i due potesse essere il marito ideale per la sua bellissima figlia, così pensò di lasciare la decisione al destino. Per questo decise che i due pretendenti avrebbero dovuto emulare le fatiche di Ercole, e dimostrare di essere superiori al rivale per forza, ingegno ed astuzia. Chi avesse dimostrato la sua superiorità sul rivale, avrebbe avuto la mano della bella Cántara.

Almanzor comunicò al Califfo che, avrebbe approfittato di un imminente viaggio in India per conto di Hisham II, per aprire una nuova rotta commerciale tra il Califfo ed il lontano Oriente. Alì, invece pensò che sarebbe stato meglio non allontanarsi così tanto dall’amata, e propose quindi alCcaliffo di costruire un acquedotto che, dalle zone montagnose di Tibi, avrebbe portato acqua alla città. Il Califfo accettò entrambe le proposte e, mentre Almanzor partì alla volta dell’India, Alì iniziò la costruzione dell’acquedotto.  I lavori iniziarono bene, a buon ritmo, ma a poco a poco Alì tralasciò la richiesta “erculea” del Califfo, per abbandonarsi al lavoro con la stessa passione ed energia degli altri lavoranti. E come loro iniziò ad accompagnare le ore di lavoro con canti e romanze.

Racconta la leggenda che la voce di Alì fosse tra le più belle che la giovane principessa avesse mai sentito, e che fu questa ad accendere in lei l’amore per il giovane. Di nascosto dal padre Cántara si recava ogni giorno nei pressi dei lavori, per ascoltare la melodiosa voce del suo amato intonare canti d’amore e appassionate romanze. Il suo amore per il giovane cresceva ogni giorno di più, ed in cuor suo la principessa sperava che Alì terminasse al più presto l’acquedotto e battesse sul tempo il generale.  Ma non fu così: ben presto Almanzor fece ritorno dall’India con una nave carica di spezie orientali, dono per la sua amata. Il Califfo, che non aveva mai nascosto di avere una predilezione per il generale, diede per conclusa la prova e decise che Almanzor sarebbe stato lo sposo della principessa.

Quando Alì apprese la notizia fu accecato dal dolore, e si gettò in un burrone.  La leggenda racconta che la Montagna – sensibile all’amore tra i due giovane ed addolorata per la decisione di Alì – si aprì, lasciando defluire tutta l’acqua che tratteneva, e che andò a depositarsi in una depressione da cui sarebbe sorta la diga di Tibi (nel 1580 per volere di Filippo II), principale fonte di somministrazione d’acqua della città per secoli.

La principessa Cántara, non appena seppe del suicidio di Alì, decise di seguirlo, e si gettò in un fiume nei pressi della Sierra di San Julian, che da allora ha preso il nome di “El salto de la reina mora” (della regina moresca, ndt). Il padre di Cántara non seppe darsi pace per la morte della figlia e morì poco dopo di crepacuore. Secondo la leggenda la montagna di Benacantil, il monte che protegge la città, prese le sembianze del viso del Califfo addolorato, ed è ora conosciuto come “La cara del moro” (viso del moro, ndt).

a città e la corte saracena, sconvolte per queste dolorose morti, decise di ribattezzare la città con il nome di Alì – Cántara, a ricordo dei due giovani innamorati.

Del generale Almanzor, invece, non si seppe nulla, se non che lasciò la città per proseguire con la conquista di terre in nome del Califfo Hisham II, e che morì nel 1002, a Calatañazor combattendo contro gli eserciti Cristiani di Castilla, Leon e Navarra.

A cura di Diletta Fraizzoli

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