Site icon Tierra.it

El Bulli di Ferran Adrià non sarà più il miglior ristorante del mondo

ferran adrià

El Bulli di Ferran Adrià non sarà più il miglior ristorante del mondo

Dice di voler chiudere il ristorante per i prossimi due anni, ma nel frattempo continua ad accaparrarsi premi e riconoscimenti in tutto il mondo. Mai uno chef, soprattutto spagnolo, ha raggiunto simili livelli.

“I sorprendenti progetti e le difficoltà di uno chef globalizzato”, questa potrebbe essere la sintesi del periodo che vive Ferran Adrià, che rilascia quest’intervista dopo aver reso nota la sua intenzione di chiudere “El Bulli”per due anni, dal 2012 al 2014.

In una splendida giornata di sole, al riparo del silenzio monacale che regna nel suo laboratorio, situato in un convento restaurato del XVIII° secolo, Adrià confessa di non aver voluto seguire il suo staff (ora in ferie, fino alla riapertura del locale a primavera) per rimanere a Barcellona con la sua famiglia. Ovviamente il suo concetto di vacanza segue la sua filosofia, e non è scontato, solitamente infatti passa tutto il suo periodo di ferie in luoghi che non ha ancora visitato, per assaggiarne i prodotti, la cucina e le tradizioni gastronomiche, ed è questo uno degli aspetti che ritiene positivi della sua professione: la possibilità di “assaggiare” altre culture per poi rielaborale, ripensarle, farle sue.

Le vacanze di quest’anno invece le ha passate a mettere insieme le idee e i progetti futuri, annunciando poi le sue intenzioni a “Madrid Fusion”. La notizia ha fatto, ovviamente il giro del mondo, dal “Financial Times” a tutti i telegiornali più importanti, così le vacanze di quest’anno invece di portargli un po’ di riposo hanno aggiunto tensione e pressioni, ma come afferma lui stesso, “Senza pressione non esiste la passione”.

Ferran Adrià aveva bisogno di fare quest’annuncio a “Madrid Fusion”, per dare concretezza al suo progetto, ma soprattutto per rendere publica la data di questo progetto, ed ora è soddisfatto della decisione presa: “Considero questi i tre giorni più belli della mia carriera – che ne ha avuti moltissimi – ma mi è piaciuta la reazione, la mia intenzione e le mie idee sono state rispettate, e questo è ciò che per me conta di più”.

C’è da dire che comunque non tutte le reazioni sono state positive, come si è visto dalle pagine di “Le Monde”, che titolava “Mauvaise passe pour El Bulli”, ossia “Un passo falso per El Bulli” giustificando l’articolo con il fatto che Adrià avrebbe deciso di chiudere perchè stanco degli attacchi alla sua cucina molecolare e alla “diabolica” chimica che impiega per realizzarla, riportata per primo da Carles Santamaria…ah, la France, a cui non va giù che il miglior ristorante al mondo non rientri nel perimetro dell’esagono !!.

Buona parte della colpa è del guru Joel Robuchon (il miglior chef di Francia, dichiarato Chef del secolo dalla guida Gault Millau) che, quando decise di ritirarsi, a 50 anni dichiarò che il suo scettro avrebbe dovuto passare di diritto a Ferran Adrià, e che oggi invece nella guida “El Bulli, storia di un sogno. Catalogo audiovisivo 1963-2009” si corregge aggiungendo “Non mi sbagliavo di molto”.

Adrià si mostra molto controllato di fronte a questa polemica, una pacatezza che si riflette nella sua reazione: “Ad alcune lobby, in certi paesi, non interessa che la cucina spagnola diventi un punto di riferimento, e questo fa parte di una dimensione socioeconomica e mediatica che ha fatto suo tutto questo settore commerciale. E fino ad un certo punto è normale ed accettabile, ciò che non lo è più è il fatto che mi perseguitino con il discorso della cucina molecolare senza motivo”.

La storia di “El Bulli” è rappresentata da uno sviluppo molto veloce, rapido, forse troppo. Sembrano passati secoli, eppure la prima “spuma” di Adrià, di fagiolini bianchi con ricci di mare data appena 1994, e dello stesso anno fanno parte i piatti che hanno creato la base su cui “El Bulli” ha creato la propria storia. L’anno successivo fu la volta del “decostruzionismo”, parola presa a prestito alla letteratura ed usata da Adrià per indicare l’alterazione di consistenze e temperature nei piatti della tradizione, che gli hanno permesso di giungere ad un risultato di novità radicale. Le sue proposte iniziarono allora ad avere successo e riconoscimento a livello internazionale, come l’aver ricevuto nel 1996 la terza stella Michelin, subito seguita da una delle massime provocazioni di Adrià, la “mousse di fumo”.Non contento dei risultati ottenuti da spume e decostruzioni, decise di concludere il secolo con le “gelatine calde” e le “polveri gelate”, ma la velocità e la pressione costanti che si respiravano a “El Bulli” hanno imposto momenti di riflessione e la presa di due importanti decisioni, che alla luce degli ultimi fatti sembrano essere state particolarmente significative. La prima fu nel 2001, quando si decise di non aprire più per l’ora di pranzo, la seconda l’anno seguente, nel 2002 quando si eliminò del tutto il menù “a là carte”, prediligendo l’unico servizio del “menù degustazione”.

E non a caso il primo menù degustazione offriva tutti i piatti creati fino ad allora da Adrià, perchè – come lui stesso afferma – “Era un momento in cui avevo bisogno di capire meglio me stesso, il mio lavoro, senza tutta la frenesia degli anni precedenti”.

Forse qualcuno volle vedere in quelle decisioni un sintomo di stanchezza e noia, nulla di più lontano dalla realtà: gli anni successivi videro la nascita di “stratificazioni, liofilizzazioni e mimetismo”, tecniche sempre più complesse e sofisticate che avrebbero fatto di una cena a “El Bulli” un’ esperienza multisensoriale, che unita al minimalismo ascetico della cucina giapponese dava ai piatti una sempre maggiore intensità.  Nel frattempo Ferran Adrià riceveva continui riconoscimenti a livello internazionale, tra cui una cattedra all’Università Camilo Josè Cela di Madrid (2005), e due dottorati honoris causa presso la Facoltà di Chimica dell’Università di Barcellona (2007) e dell’Università scozzese di Aberdeen. Quest’anno sarà impegnato a tenere corsi all’Università di Harvard.

Come mai ha deciso di fermarsi? Ha perso il controllo del “mostro globalizzato” che ha creato?

No, però ciò che è accaduto in questo ultimo periodo non fa parte nè della cucina nè della gastronomia. Ciò che oggi la cucina spagnola rappresenta è qualcosa che va oltre “El Bulli” e si apposta in una dimensione socio-economica, e ciò che voglio è spiegare alla gente che tutto ciò che vede alla televisione, le nostre tecniche, i nostri piatti, vanno oltre la pura e semplice idea di mangiare.

Il boom mediatico messo in moto dalla sua cucina dura da meno di 10 anni

Sì, e anche se spesso è sempre possibile controllare ciò che si fa, le conseguenze sono meno gestibili: oggi come oggi si potrebbe pensare che ci sia un gruppo di marketing a sostenermi, ma non è cosi: c’è un responsabile che, con un gruppo di 40 persone si occupa delle relazioni con la stampa. Niente di più. Per questo per i nuovi progetti avremo bisogno di un modello diverso.

Quale?

Non lo so ancora, sono progetti ancora in via di sviluppo, ma sto pensando molto alla creazione di una Fondazione.

Una fondazione ?

Sì, non nascondo che abbiamo bisogno di un apparato finanziario solido: come impresa “El Bulli” è una pazzia. Nel 2001, un anno fantastico, decidemmo di aprire solo la sera, perdendo la metà del fatturato. Nessuna impresa lo farebbe, anzi, raddoppierebbe il personale mentendendo gli orari di servizio, e certo avrebbe guadagnato molto di più. Però decidemmo il contrario, una decisione non molto positiva in termini d’impresa, ma oggi il “brand” vale molto più del ristorante in sè. Per questo penso ad una Fondazione.

Un modello completamente nuovo

Da tempo avevo la sensazione che, se nel 2012 non avessi preso una decisione di questo tipo tutto il personale si sarebbe ribellato. Tutto ciò che “El Bulli” ha creato negli ultimi 10 anni ha fatto guadagnare molto a molta gente, mentre il mio team non ha mai avanzato pretese, si meritano qualcosa in più, anche economicamente. Entro un mese farò una riunione in cui spiegherò loro le mie idee e i progetti per i prossii anni, ma loro saranno liberi di scegliere se seguirmi o no…anche se di tutto rispondo sempre io in prima persona.

Quando “El Bulli” riaprirà, sarà ancora un ristorante?

Non lo so ancora, però so che non sarà solo un ristorante, come già non lo era più negli ultimi tempi. Il lavoro di formazione e divulgazione della mia cucina saranno ancora una parte importante, ma si dovranno integrare con la nuova struttura. Sicuramente non tornerà ad essere il migliore ristorante al mondo

In che senso?

I premi, le giurie mi hanno stancato e non mi interessano. Ho avuto la fortuna di aver ricevuto molti più riconoscimenti di quelli che mai avrei potuto immaginare, ma ora è tutto finito, non torno a giocare a questi livelli. Per il quarto anno consecutivo il “The Restaurant Magazine” ci ha dato il primo posto, cosa posso volere di più? Esserlo per 10 volte consecutive? Non ha senso.

Però si potrà ancora venire a cena a “El Bulli”?

Questo sì, non posso pensare a nulla di nuovo senza il feed-back dei miei clienti. Di più però non so dire. Quanti coperti avremo per esempio: otto (come il Mibu di Tokyo), o cento, duecento, mille ? Non ne ho idea. Inoltre se otterremo dei finanziamenti si potranno studiare diverse formule che escludono il conto.

Concretamente?

Non ne ho ancora idea. Un ristorante come “El Bulli”, con 40 coperti può servire al massimo 80 persone con servizio a pranzo e cena che moltiplicato per circa 250 giorni circa da un totale di 20.000 persone l’anno. Considerando che circa il 50% sono clienti affezionati, i nuovi saranno il 50% restante, circa 10.000, che è pochissimo. Quando la TV spagnola ha mandato in onda “Un giorno al Bulli” il programma è stato visto da 2,5 milioni di persone. Questi sono i parametri con cui mi dovrò confrontare per far arrivare al “El Bulli” molti più clienti di quelli che abbiamo ora.

Da ciò che dice sembra che la parte “sociale” che il suo lavoro ha generato sarà quella a cui dedicherà più attenzioni.

È imprescindibile e necessario. Ora collaboro con la fondazione “AliCia” della Caixa Manresa, che si occupa della relazione tra scienza e alimentazione, e lo faccio a spese mie, perchè credo di avere dei doveri verso questo settore, ma anche questa attività verrà integrata nei nuovi progetti, assieme alle conferenze. Il futuro de “El Bulli” sarà di formazione, ricerca e creatività, con un vantaggio per chi ne farà parte: non saremo più in competizione con nessuno, quindi avremo più tempo di esporre le nostre conoscenze.

Sembra un progetto di non facile realizzazione: da poco è stata trasmessa dalla Tv spagnola il concorso “Bocuse d’Or”, e solo guardandolo si sono visti lo stress e la stanchezza.

Credo sia peggio non avere lavoro. Il nuovo progetto permetterà agli chef che lo vorranno di venire da noi ad imparare, o a scambiare le loro visioni sulla cucina. In questo paese mancano i settori e i luoghi per esprimere la cucina, la gastronomia, sebbene sia un settore strategico a livello economico e turistico, per questo credo che una delle nostre priorità sarà anche quella di dare occasioni ed offrire posti di lavoro.

Però parlava di formazione

E’ una cosa da pensare molto bene. Sarà una formazione rivolta a chef spagnoli, o anche stranieri? Non è certo la stessa cosa: nei prossimi 15 anni la gastronomia spagnola potrà avere al massimo cinque chef eccezionali, non di più, ciò che vogliamo raggiungere è che quei cinque chef diventino il punto di riferimento di un settore all’avanguardi per i prossimi 30 anni. La globalizzazione in questo settore è andata alla velocità della luce: quando io iniziai l’unico referente importante era la Francia, oggi ci sono il Giappone, Singapore, gli Stati Uniti, il Messico. Sono interconnessioni che in campo architettonico oo artistico durano anche da millenni, mentre nel campo gastronomico sono recentissime. Per noi sarà necessario invertire la rotta: andare all’estero per raccontare la cucina spagnola.

Come si vede nel futuro? Ha citato il Mibu

Si, e potrebbe essere una bella soluzione, da considerare quando tutti questi progetti saranno in grado di essere autonomi. Pensare di servire solo un tavolo di otto persone con sei di personale in cucina è la dimensione umana della pensione perfetta.

Exit mobile version