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La leggenda del merlo bianco di Medina Azahara

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La leggenda del merlo bianco di Medina Azahara

Raccontano la tradizione e la leggenda che l’ Emiro Abderramàn III, che portò il Califfato di Cordoba al massimo del suo splendore nel X° secolo, nascondesse dietro l’impassibile facciata di uomo di Stato amante delle arti e delle armi, un carattere irascibile, crudele e sanguinario, che spesse volte lo mise di fronte al malcontento dei sudditi.

La tradizione e la leggenda raccontano anche che questi imprevedibili scatti d’ira erano dovuti ad un esacerbato edonismo, che lo portava ad essere ossessionato dalla bellezza, caratteristica di cui era carente. Nonostante gli splendidi occhi azzurri che spiccavano in un volto dagli amabili tratti, Abderramàn III aveva ereditato dalla madre cristiana una capigliatura rossiccia, che faceva coprire di colore scuro, e dei tratti marcatamente europei che lo discostavano dai tipici tratti orientali.

Non solo. Il povero Emiro non era di statura alta, e i suoi detrattori erano soliti burlarsi della sua andatura, raccontando inoltre che solo quando sedeva a cavallo i sudditi potevano vederlo in una posa degna di un Califfo. La solitudine e il sentirsi messo da parte nel proprio regno portarono l’Emiro a ricreare a Cordoba la vita tipica delle Corti europee. Feste, balli, buffoni ed adulatori, banchetti furono una delle debolezze di questo malinconico uomo di stato, che non fecero altro che peggiorare la sua triste situazione, tanto da fargli dimenticare le tradizioni e la religione che lo legavano alla sua cultura. Durante un incontro pubblico, infatti, il potente magistrato Mundir ibn Sa’id al Balluti lo rimproverò di non aver presenziato alle preghiere nella moschea di Cordoba nelle ultime tre settimane per essersi dedicato quasi ossessivamente alla costruzione della città-palazzo di Medhina Azahara.

È però grazie a questa ossessione che Medhina Azahara può ancora oggi considerarsi come uno dei gioielli dell’architettura araba in Spagna: una splendida cittadella, cui Abderramàn III dedicò tutto se stesso, perchè voleva che fosse più bello dell’Eden. Passava ore in compagnia degli architetti, verificando il progetto, i lavori. Amava leggere poesie e ascoltare musica immerso nel rigoglio dei giardini che i suoi antenati avevano fatto costruire sulle rive del Guadalquivir, in attesa che il suo progetto giungesse a termine.

Cresciuto dai nonni in un vero e proprio harem, Abderramàn sembrava preoccuparsi solo di essere circondato dal lusso e dai piaceri mondani. La sua ossessione per la bellezza si trasformo in ossessione per la ricerca della felicità, e tale fu questa nuova ossessione che Abderramàn dispose che venissero appuntati in un diario i giorni in cui gli sembrava di averla quasi raggiunta.

Anche in questo forse non fu fortunato: nel suo diario se ne contano solo 14, in oltre 70 anni di vita. Di questi 14 giorni, però, ce n’è uno di particolare importanza, rimasto intrappolato come una leggenda nelle rovine dello splendido salone di Medina Azahara.

Racconta la leggenda che un giorno Abderramàn, stanco, malinconico e triste per una lunga ed accesa discussione con la principessa consorte Zahara si ammalò gravemente, e si rinchiuse nel salone principale di Medina Azahara. Una mattina, all’alba, l’armonioso suono di uno “zyriab” (un merlo bianco) lo risvegliò, avvisandolo dell’arrivo della sua amata. Le porte del salone si aprirono ed entrò Zahara, che piangendo si prostrò davanti al suo sposo, chiedendo perdono per la discussione che aveva reso Abderramàn così triste.

Gli confessò che uno “zyriab” aveva cantato davanti alla sua finestra, raccontandole il segreto racchiuso tra le mura del palazzo: Medina Azahara era il luogo che doveva celebrare il loro amore, la bellezza del loro sentimento. Per questo Zahara chiese ad Abderramàn di seminare attorno al palazzo una fila di mandorli ed una di aranci, in modo che il loro fiorire annuale ricordasse a tutti il rinnovarsi del loro amore, che a Medina Azahara aveva trovato il proprio Eden. Abderramàn si riprese grazie alle cure del medico di corte (che, si dice, fosse “guidato” dal merlo bianco) e non appena gli fu possibile fece ricoprire di mandorli le colline circostanti.

Da allora ogni primavera lo spettacolo della fioritura e il profumo dei fiori di mandorlo inondano le stanze di Medina Azahara, ricordando la storia di un amore infinito, vissuto tra le mura di un palazzo magico.

Medina Azahara è stata ed è ancora ricordata coma la cittadella più lussuosa e lussureggiante della dinastia Omeya nell’Andalusia dei secoli X° ed XI°. Ciò che rimane dei saloni dopo le razzie delle legioni berbere sono testimonianze di un luogo spettacolare, splendido ed unico. Costruita da Abderramàn III ed abbandonata da Almanzor fu una città creata per impressionare e farsi ricordare. Le rovine di questo splendido sito si trovano a 7 km da Cordoba.

A cura di Diletta Fraizzoli

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