Viticoltura: la nuova generazione spagnola
La viticoltura spagnola sta vivendo un “risorgimento”, grazie ad una generazione che ha deciso di apprendere dal passato, limitando al minimo le nuove tecnologie. Li chiamano “locos” (pazzi, ndt), perchè sostengono che il vino sia molto più che un setoso e brillante liquido rosso, che nasce una volta l’anno da un grappolo d’uva.
Sostengono che il vino sia un miracolo, una parte essenziale della cultura iberica, e si ostinano a dire che in ognuna delle loro bottiglie è racchiuso il mistero di una terra unica, che vive di luce, flora e fauna inimitabili, una terra di tradizioni e storia irripetibili.
Il vino per questi viticoltori è come un legame che ci rimanda alle culture più antiche: la greca, la fenicia e la romana, a secoli in cui i trattori, i pesticidi ed i fertilizzanti non esistevano, così come inesistenti erano la moda ed il marketing.
Per questi “locos” il vino è magia, alimento, salute, piacere ed eccellenza: dev’essere il riflesso di un paese, una forma di società e di cultura che si stanno perdendo, ma che questi giovani, con tenacia, stanno cercando di recuperare. Lottano per riportare la cultura del vigneto, contraddistinti da una gran passione, molta ambizione…ma pochissimi fondi. Hanno affrontato chi li ha definiti pazzi ed eccentrici, chi non avrebbe scommesso nulla su di loro, perchè hanno rifiutato i fondi pubblici, che li avrebbe costretti a meccanicizzare e modernizzare le loro vigne, perdendo ciò che conta di più: l’anima della terra, del vino, la loro.
La Spagna è, per estensione, il più grande vigneto del mondo, con più varietà e tradizione di qualunque altro. Ma, sebbene il vino spagnolo sia venduto sui mercati internazionali, lo è ad un prezzo di molto inferiore rispetto a quello dei rivali storici: Francia ed Italia, o di quelli più reecnti: Cile, Nuova Zelanda Australia.
Il prodotto spagnolo sembra essere invisibile, ed il più delle volte è stato definito come “un diamante grezzo, praticamente ignorato, dal quale ci si può aspettare di tutto”: gli stessi viticoltori ammettono che una culturale mancanza di “immagine e glamour” (una critica rivolta soprattutto ai modi sofisticati della Francia e dei produttori del Nuovo Mondo) ha spesso determinato incertezza nell’acquirente. A differenza degli altri mercati, la Spagna non ha mai dato un’idea di forte coesione tra i viticoltori, i quali hanno sofferto spesso della mancanza di un marketing comunicativo efficace: che sapesse cioè creare quella che loro stessi definiscono una “marca país”. I “locos” dicono di avere la soluzione: ogni bottiglia deve avere due caratteristiche fondamentali qualità e personalità.
Racconta Benjamin Romero, considerato un mago del vino, che, partendo da zero, ha realizzato uno dei migliori vini de La Rioja: “Se dobbiamo confrontarci con la globalizzazione, la nostra unica difesa è la qualità, ed in Spagna la qualità parte dalla tradizione: sappiamo bene che i cinesi (ad esempio) possono acquistare le migliori varietà di viti, e produrre milioni di bottiglie. Ma ciò che non possono comperare è questa terra, la nebbia del mattino, l’ Ebro e la cordigliera di Tolo?o. Questo dev’essere il cuore del nostro marketing”.
L’opinione di Romero è condivisa dai maggiori e più influenti viticoltori spagnoli, come Jorge Ordoñez, fondatore della Fine Estates from Spain, con sede nel Massachussettes. Ordoñez è tornato in Spagna, ed ha viaggiato per tutta la regione de La Rioja, studiandola. “Ciò che ho scoperto è stato impressionante – dice – per decenni abbiamo perso di vista la nostra cultura: abbiamo eliminato vitigni autoctoni per far posto a quelli provenienti da paesi diversi, per seguire la tendenza del mercato. E ci siamo sbagliati. Questi vini, che io definisco “generici”, vengono prodotti dalle grandi corporazioni del Nuovo Mondo. La strada che noi dobbiamo seguire è quella della nostra identità, delle varietà delle nostre uve, dei nostri paesaggi, e delle 70 zone DOC che possediamo…eppure, molti dei nuovi mercati guardano a noi come agli ultimi arrivati, ed è dura spiegare che la nostra cultura viticola e vinicola ha una storia di oltre 3000 anni”.
Benjamin Romero e Jorge Ordoñez sono due “locos”: una generazione di viticoltori che guarda al passato, alle proprie radici. La cura che mettono nei loro vigneti sembra quella riservata agli splendidi giardini giapponesi: ogni ceppo ha un nome, ed è coltivato a mano, con movimenti che ricordano quelli di una giardiniere di bonsai.
Emilio Rojo è uno di questi “giardinieri”: barbiere per anni a Madrid, nel 1986 decise di tornare nella terra dei suoi avi, ad Arnoia, ed occuparsi della piccola vigna di famiglia. Quella vigna oggi produce solo 5000 bottiglie l’anno di quello che è stato definito uno dei migliori ribeiro della storia. “La mia vita è nella vigna – racconta Emilio – passo con lei tutta la giornata, è diventata come una figlia per me: va seguita, curata e soprattutto interpretata. Ogni anno è diversa, cambia”.
“Il viticoltore è un semplice gestore di ciò che la terra gli offre – prosegue Abel Mendoza, che con sua moglie (una ex hostess) è considerato uno dei maggiori viticoltori della Rioja – ed ogni annata è come una sorpresa. L’imprevedibilità della pioggia e del caldo ti costringono ad interpretare la vigna, ed il vino, ogni anno in modo diverso. Questo è un lavoro che si basa sul buon senso e su prospettive a lungo termine: se si rispetta la terra, si lascerà un futuro migliore a chi seguirà i nostri passi. Pensare a lungo termine ti permette di non impazzire davanti alla burocrazia, di non farti sorprendere dalla tecnologia e soprattutto di non farti convincere a meccanicizzare la vigna: il lavoro meccanico produrrebbe un vino molto comune. Qui succede spesso: le grandi aziende pagano pochissimo la materia prima, ed i viticoltori si abbattono e si lasciano trasportare nel mondo del business moderno. Molti anni fa, quando decisi di produrre il mio vino, in un’azienda che fosse mia, molti mi risero alle spalle “Dove vuole andare questo qua” dicevano…eppure oggi io e la mia famiglia viviamo di questo. Una bottiglia di vino dev’essere come un buon libro: in pochi minuti deve saperti dare un contesto, una storia, un paesaggio…altrimenti non ti appassiona, ed il rischio è che passi olto tempo prima che ti decida ad acquistarne un altro”.
I “locos” usano l’ecologia e la biodinamica per affrontare la meccanicizzazione: arano con i muli, usano fertilizzante naturale e, soprattutto, potano a mano. Si affidano al movimento degli astri, studiano il cielo, assaggiano l’uva. Senza fretta. Non sono disposti a produrre di più per non danneggiare la qualità, e non gli passa neanche per la testa piantare varietà a “crescimento rapido” per aumentare la produzione. Cosa che invece hanno fatto molti produttori in passato, soprattutto nella zona della Ribera del Duero.
Carles Ortiz vive nella zona catalana del Priorato, dove produce uno dei migliori vini degli ultimi anni. Carles e sua moglie Esther, enologa di Clos Erasmus, uno dei vini più ricercati della zona, hanno bandito la chimica dalle loro terre: tutto è biodinamico e naturale. Entrambi fanno parte della seconda generazione dei cosiddetti hippies del Priorato: la prima vi si stabilì agli inizi degli anni ’70. Considerata come una specie di gruppo di visionari era formata da coloro che hanno dato inizio alla battaglia che ancora oggi i “locos” affrontano. Di quella generazione facevano parte René Barber Ferrer (creatore del Clos Mongador, un vino bianco invecchiato in botte), Alvaro Palacios, José Luis pérez, Carles pastrana e Daphne Glorian. A loro cinque si deve la realizzazione e la fama di cui gode questa regione. La generazione di oggi ospita spesso turisti e curiosi, cui però non fa vedere i prodotti esposti in bella vista sugli scaffali del negozio dell’azienda, ma fa visitare la vigna: le varietà, i ceppi.
“I giorni del vino “da spettacolo” – come lo definiscono Ton e Josep Mata, proprietari di una vigna che si tramanda dal 1940, e produttori del miglior champagne di Spagna (Recaredo) – sono finiti. Oggi non si tratta più di produrre grandi vini da 100 euro la bottiglia, ma grandi vini da 10 euro la bottiglia, che ti permettano di realizzare edizioni limitate e contenute di grandi vini da 100 euro. Devono essere vini buoni, semplici e diversi, meno legnosi e più freschi: vini da gustare, e non realizzati per compiacere i critici”. Per questa ragione, per la ricerca di questi risultati, questi viticoltori sono definiti pazzi. Trattano la terra come un essere vivo: le parlano, sussurrano, la ascoltano. Ogni ceppo è come un individuo, ogni bottiglia una storia d’amore.
Il target da raggiungere – affermano i “locos”, è quello dei giovani che hanno diemnticato il vino, per perdersi nei fumi della birra e dei superalcolici. Riportare la cultura del vino, dei suoi segreti e della sua vita: tutta nascosta nella terra e nel piccolo acino che regala.
A cura di Diletta Fraizzoli