Miguel de Cervantes

Miguel de Cervantes nacque ad Alcalà de Henares nel 1547, da una famiglia numerosa e assai modesta. A causa degli scarsi guadagni del padre – un medico poco amante del proprio lavoro – la famiglia è costretta a spostarsi spesso e Miguel, poco più che ventenne si trova a Madrid, città in cui assapora quel po’ di cultura internazionale che lo farà decidere di trasferirsi in Italia, dove si metterà al servizio dell’esercito cristiano e combatterà contro i Turchi.

Sebbene la sua formazione culturale abbia avuto la fortuna di svilupparsi in pieno periodo rinascimentale Cervantes non viene considerato dai suoi contemporanei un letterato di grande successo, e le opere anteriori al “Don Chisciotte” denotano il fatto che cercasse più vantaggi economici che gloria o onore letterari.

In effetti è proprio con questo romanzo che Cervantes cerca il “riscatto” letterario. Ciò che vuole fare con quest’opera è mettere in ridicolo i romanzi cavallereschi che, giunti in Spagna sembravano essere l’unico genere ad appassionare i lettori e gli amanti delle opere teatrali. Il contrapporsi, nel romanzo, di un personaggio “pazzo” ad uno invece del tutto razionale e materialista (Sancho) fa sì che sia sempre possibile vedere il mondo da più punti di vista, tutti diversi. Le delusioni che ne conseguono rispecchiano il mancato raggiungimento delle aspettative dell’uomo nella società. Questo senso di pazzia di fronte al disagio sociale, alla realtà prestabilita e alla necessità umana di cercare sempre il sogno, la fantasia e l’ignoto, fa sì che il “Don Chisciotte” sia considerato dai maggiori critici letterari il padre del romanzo moderno.

Don Chisciotte di Picasso Miguel de Cervantes

Il romanzo si sviluppa in due parti ben distinte, e già da questo si evince come la seconda parte non fosse in realtà stata progettata dall’autore: tra le due parti infatti intercorrono ben dieci anni (la prima è del 1605, la seconda del 1615), ed ognuna inizia con un prologo in cui l’autore espone il suo pensiero; alla fine della prima parte, inoltre, vi sono quattro sonetti e due epitaffi a simboleggiare l’intenzione di Cervantes di considerare terminato il suo lavoro. Il primo romanzo si apre con il prologo in cui Cervantes si scusa per lo stile e la narrazione, descritti come semplici ed esili, e assa poi a narrare come e perchè Alonso Quijano decida di nominarsi cavaliere assumendo il nome di Don Chisciotte della Mancia. Il personaggio di Don Chisciotte sembra essere quello di un uomo che ha perso il senno: si crede l’ultimo dei cavalieri e decide di affrontare tutte le ingiustizie i soprusi del mondo in nome dell’amore (per la sua dama Dulcinea) e degli ideali cavallereschi. In realtà Don Chisciotte nasconde l’impotenza dell’uomo moderno di fronte a tutte le iniquità sociali. Dopo aver affrontato eserciti di nemici, giganti e malfattori il nostro eroe viene riportato a casa dal fido Sancho, che nonostante si fosse visto promettere terre e potere non esita a ricondurre il povero Don Chisciotte alla sua realtà nel momento in cui le sue avventure e battaglie diventano troppo difficili da affrontare anche con la sua ‘spavalderia’. Al termine del primo romanzo abbiamo quindi il commiato, attraverso i sonetti e gli epitaffi, dell’autore. Ciò che spingerà Cervantes a scrivere la seconda parte dieci anni più tardi sarà un manoscritto apocrifo, in cui si narrano le ultime vicende del nostro eroe. Nel secondo prologo Cervantes promette infatti di porre fine alle avventure di Don Chisciotte, raccontandone addirittura la morte. Le gesta iniziano nel momento in cui Don Chisciotte si accorge di essere stato riportato a casa, e decide di scappare, per continuare la sua opera di liberazione del mondo dalle ingiustizie. Le avventure che lo aspettano sono ancora molte, e lui le affronta sempre con la solida spalla dell’amico Sancho – la sua parte razionale – e la devozione dell’amata Dulcinea, ma anche le sconfitte sono molte e quella inflittagli dal Cavaliere della Luna Bianca, gli sarà fatale. Infatti, sebbene sia fiero di aver perso in duello contro un “vero” cavaliere, la sconfitta lo farà ammalare e morire nel giro di una settimana.

Il romanzo di Cervantes ci porta a considerare il desiderio che ogni uomo ha di vivere condizioni diverse dalla sua, in cui si possa sentire libero da costrizioni sociali e ideali prestabiliti, in cui l’uomo possa avere una sua autonomia ed individualità. Il “folle” cavaliere è in realtà un po’ tutti noi, che ci scontriamo con la società in cui viviamo, cercandoci un mulino a vento per poter dire “ci sono anch’io”.